10 novembre – 22 dicembre 2016
La realtà sembra farsi d’improvviso netta, geometrica, scandita dal segno esatto di innumerevoli ramificazioni. Ma questi percorsi, così articolati, e in fin dei conti nitidissimi, sono quasi invariabilmente asciutti, spogli, ciechi come misteriose silhouttes vegetali che accompagnano il gioco, il racconto ambiguo, il piatto eppure surreale intrecciarsi di immagini in superfici cromatiche indefinibili. La vita vi appare scarsa come una foglia, o come un movimento di proiezioni spettrali, pur nell’evidenza squillante dei colori.
L’artista introduce sulla scena delicate figure umane senza fisionomia, in osservazione o attesa, in una realtà che sposta sullo sfondo, tenuta dunque a prudenziale distanza, una dimensione urbana solo accesa da luci notturne. Ed è come se la narrazione d’insieme delle varie tavole fosse sospesa, galleggiante tra ombre e fantasmi di un raffinato meccanismo psichico, dove si sovrappongono le pedine, i passaggi a vuoto e l’azzardo quasi infantile e ironico di una strana partita.
Poi, però, interviene anche il sospetto di qualcosa di incombente, di minaccioso o sinistro, sempre in agguato, come quella figura cupa e infagottata, che se ne va di spalle da un parco o da un giardino, carica di qualcosa, reggendo neri sacchi, come in un racconto fiabesco, dove tensioni simili all’incubo vengono sempre a increspare o a fendere verticalmente la quieta, calda e colorata natura elementare del reale, dell’umana nostra esperienza.
Maurizio Cucchi