Marina Previtali
Milano su carta
Gli umani attrezzi, le macchine formidabili, le impennate e i generosi assurdi slanci verso il cielo, che la mano dell’artista sembra quasi voler ridurre a un ritmo orizzontale, ancora inquieto, ma come vicino a negare il vortice di un progetto espansivo ormai remoto… Una serie minuziosa e frenetica di presenze meccaniche, di umani strumenti come in abbandono. Dove infatti, in modo acuto e singolare, l’unica assenza evidente, in quello sgargiante patchwork di colori, da lui stesso prodotto, è proprio l’essere umano, l’elemento uomo; l’artefice, appunto. E questo acquista, è facile capirlo, un senso forte, realizzato da un segno energico e senza traccia d’enfasi, e da un pensiero non esposto ma circolante in ogni dettaglio aggressivo di queste pitture, che sollecitano una risposta personale nell’osservatore, un rapporto diretto autentico cui è difficile sottrarsi. Questo, in effetti, è un compito primario per l’arte, in un tempo in cui, edonisticamente e mercantilmente, ci sembra troppo spesso di essere passati, scivolando passo su passo nel breve volgere di pochi decenni, dalla ricerca artistica all’acquiescenza con l’inerzia ignava di una realtà depressa e insieme luccicante. Dall’arte all’oggettistica, verrebbe da pensare … Dalla complessità al gadget, dalla meditazione, nelle cose e nella materia, alla trovata… Marina Previtali, per sua e nostra fortuna, ci introduce in un mondo, in un paesaggio, che è quello che il milanese ha ogni giorno sotto gli occhi, un paesaggio in divenire, eppure, paradossalente come sospeso, bloccato su se stesso. Una realtà curiosa, perché in fondo assurda, una specie di immenso luna-park abbandonato, o di città fantasma, dove ci viene voglia di inoltrarci, di perlustrarlo nei dettagli che l’artista ci offre, sottilissima, per meglio entrare in possesso del suo senso strano, del suo progetto laborioso interno. Che forse, inconsapevolmente, è un progetto senza soluzione, o un progetto fallito nei suoi esiti, o una grandiosa avventura senz’altro senso che il suo insensato, e quasi eroico, conato costruttivo.
Maurizio Cucchi