Monica Cecchi
Infiniti giochi della memoria
Frammenti di vecchi giocattoli in latta, pezzi di bambole, piccole bottiglie sigillate il cui vetro opaco suggerisce antichi segreti, pagine di appunti scritti a mano in una calligrafia elegante e minuta, e poi specchi, chiavi, spille da balia, minuscole gabbie dorate intrise di simbolismi che affondano le loro radici in un passato tutto femminile. I lavori di Monica Cecchi hanno il potere di racchiudere in un piccolissimo spazio una potente carica emotiva. La sensazione è quella un po’ straniante che si prova quando si apre una scatola misteriosa, sconosciuta, e si scopre inaspettatamente che contiene un pezzo di noi. Stralci di un passato che pensavamo seppellito tra i ricordi di infanzia, forse tra i racconti delle nostre nonne, e che improvvisamente ha preso una forma ed è qui, sotto i nostri occhi, a farsi toccare e annusare. A produrre un leggero dolore in fondo al petto. Perché è proprio questa la cifra più intrigante delle spille, dei girocolli pensati come girotondi, così come delle sculture: il fondersi inscindibile di gioia e bruciante nostalgia. Di presente festoso e di passato rimpianto. A un minimalismo di matrice geometrica che per molti versi ricorda la scuola orafa di Padova (dall’oro opacizzato di Mario Pinton all’impostazione cartesiana di Francesco Pavan, fino all’esplosione cromatica di Giampaolo Babetto), Monica Cecchi sovrappone una fantasia inesauribile e curiosa. Il concetto di objet trouvé si declina in quello più giocoso di caccia al tesoro, condotta con un gusto squisito per il dettaglio. La somma di oggetti e suggestioni non è mai mero affollamento, ma è sempre sostenuta da un solido equilibrio per la composizione giocato ogni volta sul limite della sfida alla forza di gravità. Senza alcuna incongruenza semantica, ma al contrario pensati come parte di un’unica riflessione sulla memoria, sfilano davanti agli occhi dello spettatore pezzi di latta di gusto pop accanto a citazioni matissiane, libere associazioni di oggetti di sapore surrealista affiancate a calchi di seni e glutei femminili (i deliziosi A pezzi) che fanno pensare a Modigliani. In un gioco di rimandi grazie al quale alla scultura non manca mai la grazia dei gioielli né tantomeno ai gioielli mancano l’autorevolezza e la dignità di opera d’arte della cultura.
Alessandra Redaelli