Lucia Cecchi
Terra e ferro nell’anima
Lucia Cecchi interpreta i materiali con una sensibilità rarissima, forse unica. Come un’alchimista ne cattura l’essenza. Ferro, gesso, terra, stucco, cartapesta, garza, pigmenti, ossidi, acrilici si lasciano domare dalle sue mani sapienti per dare voce a emozioni che scauriscono dal profondo, si direbbe a fatica, come verità rimosse dalla coscienza per restare anni e anni imprigionate nelle ombre dell’inconscio. Quando il supporto è il ferro, la superficie sembra spaccarsi, come per un’esplosione profonda. Come se quell’involucro gelido non fosse più in grado di contenere il suo rovente segreto. Un segreto fatto di ricordi e rimpianti, di passioni e nostalgie, che si concreta in una colata di colori selvaggi. Sono turchesi assolati, rosa tropicali, verdi limacciosi, rossi sanguigni, ocra riarsi e porpora pulsanti di sensualità. Sono magma e materia primordiale. Eros e Thanatos. Qualche volta l’artista sceglie i toni più sussurrati della monocromia per dare voce a emozioni meno gridate, ma non per questo meno dirompenti. Le superfici appaiono ruvide, ferite come dopo un incendio. Il colore – un ocra terroso, un sabbia afoso e desertico – è il residuo di uno sgretolamento primordiale fossilizzato dal tempo irrimediabilmente trascorso. Poi, improvvisamente, lo sguardo si lascia attrarre da un particolare che a prima vista sembrava irrilevante, l’occhio ci ripensa, scopre una seconda lettura e tra le unghiate della materia comincia a delinearsi, forse, un orizzonte, un sole, un pianeta non ancora scoperto, la sagoma di un albero antico. In un’ipotesi di figurazione surreale piena di poesia.
Alessandra Redaelli