URBANITA’ LIQUIDE
a cura di Maurizio Cucchi
3 maggio – 23 giugno 2018
L’ironia brillante, il gioco dei fiori, la plastica vistosità del corpo femminile e dei colori di Denise Orrù, ci invitano a un piacevole confronto, al conforto di un gioco accattivante e vivace, a fronte del passaggio di ombre e di classiche parvenze sottili, colte in movimento. Lacerazioni anonime di un realtà forse urbana in disfacimento o come in abbandono, tra muri, oggetti, finestre rese opache incontriamo nel rigore morale dei racconti di Enzo Montagna, mentre Adriana Danza ci stupisce con una immagine dove il colore e la materia si sfilacciano verso un alto verosimilmente irraggiungibile e oltre la parvenza fisica di un vuoto. La varietà, così energica, così a contrasto, delle fiere figure di Ermanno Poletti, dal Cristo alla tigre, ci conducono verso un ulteriore teatro dell’immaginazione che muove la nostra curiosità, la nostra utile, provvidenziale meraviglia, mentre le zone equoree, di Filippo Massaro agitano un mondo di umani e animali in vibrazioni grige e azzurre nella sfera terrestre, tra eleganza dei movimenti e dirompere o oscurarsi della natura in un composito blu cupo. In posizione opposta ecco invece Francesco Vanzaghi, con i suoi volti cupi o ambigui, realizzati in una millimetrica esattezza iperrealistica e in una specie di tripudio cromatico volutamente ingannevole. Colori forti sono anche quelli che ci propone, nella sua raffinatezza, Francesco Zavatta, nell’enegia affascinante e instabile dei suoi paesaggi, quasi scossi o spazzati da forti ondulazioni interne, o dello sguardo, o sismiche. E i bestioni di Iole Oliva? O quegli animaletti che sembrano poi riassunti in un labirintico territorio che li accoglie e annienta nella loro innocente presenza, nella vacuità dei loro occhi? Sembrano quasi immobilizzati, ripresi e stilizzati nelle forme di Letizia Taliani, come se in lei la vivacità animale si fosse fossilizzata nelle linee essenziali, materiche, di un remoto ricordo che pure continua ad agire nella coscienza. Racconti di delicate soste, di semplici affetti, umani e animali, leggiamo in Francesca Marzorati, che quasi ci invita a muovere la nostra immaginazione oltre la nitida superficie delle immagini per coglierne il seguito, il sottinteso, o il motivo che è all’origine di quelle scene, a tratti persino fiabesche. Le aleatorie forme di Massimo Barlettani, invece, o al contrario, sembrano volersi sottrarre a una precisa identificazione, affidandosi, in questo senso, solo all’evidenza del colore, anche se a volte non possono sottrarsi a una pur discreta riconoscibilità da parte di chi osserva. Commedie assurde, o metafisiche, allestisce Paolo Borile, come invitandoci a partecipare, a entrare in quelle vuote cornici, o a passeggiare e correre in quelle vastissime fughe di sale. Forse come l’apparizione inquadrata di quel bimbo sulla spiaggia in un contesto di alberi stecchi e gelati. Roberto Fontanella si muove invece affidandosi a un’esattezza geometrica di contrasti netti. Netti, sì, eppure sottilmente increspati, e dunque internamente, sebbene lievemente, scossi, indicandoci significati precisi, che toccherà all’interlocutore scegliere se prendere alla lettera o solo interpretare, liberamente. Le grandi e insieme sottili macchine di una realtà turbata di Valentina Ceci costituiscono infine un ultimo ambiente, cosparso di volatili scorie, un paesaggio che vorremmo anche noi percorrere, meglio conoscere, ma che forse sarà prudente evitare, come ci suggerisce la vista di quegli uccelli accanto a un volto (l’autrice?) che parrebbe rivolgersi con uno sguardo di beffarda sfida.
Maurizio Cucchi